Smontato il palco dell’edizione 2019 dell’#unomaggioliberoepensante, stanchi ma orgogliosi per l’impresa ancora una volta
portata a termine, ci siamo chiesti se in un paese così sordo e cieco fosse ancora utile continuare ad accendere le luci su Taranto, sull’Ilva, su tutti i territori in lotta. Per darci una risposta abbiamo provato, con le immagini di migliaia di persone davanti a quel palco ancora negli occhi, a schiarirci le idee. Abbiamo deciso di tornare in giro per l’Italia, per capire se, al di fuori di Taranto, in questi mesi la percezione della questione Ilva in qualche modo fosse cambiata.
Abbiamo incontrato realtà associative italiane e provenienti dall’estero al Venice Climate Camp 2019 il primo Climate Camp internazionale organizzato in Italia, durante il quale abbiamo approfondito le tematiche, spesso drammatiche, legate ai cambiamenti climatici. Incontro culminato con un momento di disobbedienza civile, l’unica in cui ci riconosciamo, sul Red Carpet più famoso d’Italia, con il sostegno di larga parte dei “lavoratori” della cultura.
“Pensa globalmente, agisci localmente”. E’ il principio che ci ha portati nuovamente in Val di Susa per continuare a sostenere la lotta NO TAV e in Salento al fianco del MOVIMENTO NO TAP, certi che il gasdotto non sia una soluzione ma rappresenti un ulteriore problema. Consolidare la rete con gli altri territori in lotta è un obiettivo che continuiamo a perseguire. Raccontare in tempo reale la verità sulla questione Ilva (exIlva/Mittal) ai compagni di tutto il territorio nazionale riteniamo invece sia un dovere. E per questo motivo promuovendo il piano di riconversione PIANO TARANTO – elaborato insieme a singole cittadine e singoli cittadini e ad altre associazioni tarantine – continueremo a smontare la narrazione tossica e falsa portata avanti dalla stampa di regime.
Abbiamo portato a Taranto la testimonianza dei popoli indigeni, per capire insieme le nuove strategie di repressione e pacificazione dei movimenti adottate dai governi.
Altre due tappe fondamentali del nostro percorso sono state la Scuola di formazione per climate strikers all’Università Federico II di Napoli, dedicata alla controcultura ecologista e transezionale e la Cop25 a Madrid. La prima ci ha permesso di sviscerare tutte le tematiche legate alla lotta ai cambiamenti climatici, alla scelta delle alternative energetiche e alle lotte anti estrattiviste in genere,
nella seconda abbiamo smentito le falsità sulla decarbonizzazione tanto amata dal Presidente della Regione Puglia.
Insieme all’associazione A Sud siamo intervenuti all’assemblea 2019 degli azionisti di Eni, come azionisti critici degli investimenti e degli interventi che mettono in pericolo ambiente ed esseri viventi. Siamo oggi già pronti al nuovo intervento con gli inevitabili interrogativi, relativi ai nuovi processi e alle nuove sconsiderate concessioni.
Abbiamo deciso, insieme ad altre associazioni italiane, di fare causa allo Stato aderendo alla campagna Giudizio Universale.
Facciamo Causa! con l’obiettivo di obbligare il governo ad attuare le misure più stringenti atte a rispondere ai cambiamenti climatici e ad invertire il processo di collasso di tutto l’ecosistema.
Ci siamo costituiti parte civile in quella che è stata definita dal premier Conte la causa del secolo (quella contro la multinazionale Arcelor Mittal) perché siamo convinti che anche in quella sede sia indispensabile difendere gli interessi ed i diritti dei lavoratori, delle famiglie e dei cittadini tarantini che da anni chiedono la chiusura della fonte più inquinante d’Europa, la bonifica dei siti inquinati e la riconversione, anche economica dell’intero territorio.
Abbiamo frequentato i seminari di Diritto e Giustizia Climatica del CEDEUAM (Centro di ricerca Euro-Americano delle Politiche Costituzionali dell’UniSalento) e chiesto la collaborazione di docenti di diverse università per portare nelle scuole superiori una corretta informazione sul tema della crisi ecologica ma anche per acquisire, noi stessi, una formazione che ci aiuti a comprendere le origini e le conseguenze di questa crisi, con un’attenzione indispensabile alla mancata evoluzione della classe e del lavoro operaio.
Tema ridotto spesso ad un’accusa o ad una sottomissione al salario e che va finalmente affrontato e separato dal legame fittizio suggellato il 2 Agosto 2012 dai sindacati.
Ci siamo chiesti alla fine di ogni viaggio, di ogni incontro, di ogni iniziativa: Cosa c’entra la nostra città, la nostra vertenza Taranto, in questa corsa al salvataggio del pianeta?
Già all’edizione 2018 abbiamo improntato il dibattito del nostro Unomaggioliberoepensante sull’ingiustizia ambientale che grava sulla nostra città, come su altri territori ritenuti sacrificabili insieme alle comunità che li abitano. L’attenzione generale che la questione ambientale, la meglio definita crisi ecologica, sta riscuotendo nel mondo scientifico e dell’attivismo ci conferma che avevamo ragione a collocare la devastazione ambientale del nostro territorio in una pratica globalmente diffusa e uniformemente riconducibile ad una gestione economico-politica che in nome del profitto tutela gli interessi dei grandi attori del mercato calpestando ogni diritto che ne ostacoli gli obiettivi.
Prendono così contorni differenti e per certi versi più riconoscibili, quelle scelte che si sono abbattute sulle nostre vite, come i tredici decreti salva Ilva e ancora di più il rapporto di subordinazione che gli ultimi due governi hanno instaurato nei confronti della multinazionale franco indiana che ha ereditato o starebbe per farlo, l’arma letale dei Riva.
Sistema Italia l’ha definito il premier attuale, un sistema da cambiare e che invece nei fatti si radica ancora di più. Come interpretare diversamente l’ostinazione alla continuità produttiva, subordinata ad una “ambientalizzazione” inesistente e impossibile o ad una decarbonizzazione con il gas, sponsorizzata dal Presidente della Regione Puglia che, con un maldestro tentativo di greenwashing, forse dettato da un momento di delirio bipolare, ha dichiarato contestualmente lo Stato di Emergenza Climatica e Ambientale?
Quale sistema può essere cambiato da chi ci sguazza comodamente?
Dobbiamo decidere una volta per tutte se continuare a subire la drammatica condizione in cui versa tutto l’ecosistema, o essere protagonisti di una rivoluzione che porti all’azzeramento dei rischi e alla ridistribuzione dei costi di questa crisi, che oggi pesano solo sulle spalle dei cittadini.
Ritornando, quindi, alla domanda iniziale, se l’ #Unomaggioliberoepensante abbia ragione ancora di esistere la risposta non può che essere SI.
Varrà sempre la pena, nonostante i tentativi di sabotaggio o di “accaparramento” di qualcuno, nonostante le accuse di alcuni personaggi in cerca d’autore.
Varrà sempre la pena dare voce a chi non ha voce, di smontare la propaganda dei governi che vogliono imporre un modello di sviluppo che porterà ad un punto di non ritorno, di proporre soluzioni alternative, con la collaborazione di professionalità di altissimo livello che condividono la nostra visione.
Varrà sempre la pena perché vogliamo essere complici di un piano rivoluzionario!