In merito alla CNAPI e alla questione scorie radioattive
Il problema come sempre è a monte ed è in questo caso duplice: i soggetti interessati e i processi decisionali.
La SOGIN, la società responsabile dello smantellamento degli impianti di produzione di energia nucleare, nei primi 12 anni di gestione dell’esercizio (dalla sua costituzione nel 2000) ha speso 1,7 miliardi di euro a fronte di un avanzamento dei lavori totale del 12% (l’1% all’anno), soldi ovviamente pagati dai contribuenti.
Si aggiungano poi le innumerevoli problematiche riscontrate nella gestione delle vecchie centrali, come accertato anche grazie a testimonianze tecniche dirette interne agli impianti, e nei rapporti caratterizzati da assenza di confronto e dialogo con gli organi di controllo preposti (es: ISPRA).
“Nell’impianto di Casaccia, vicino Roma, tanto per fare un esempio i quattro ingegneri nucleari di maggiore esperienza e qualifica, che ricoprivano i posti chiave dell’impianto, circa un anno fa sono stati improvvisamente rimossi dai loro incarichi e trasferiti in altre sedi, senza una motivazione specifica da parte della Sogin. La cosa sconcertante di tutta la vicenda è che sono stati sostituiti con altri ingegneri, del tutto privi di ogni specifica conoscenza dell’impianto. Tra questi spicca un ingegnere civile, prima nominato direttore e successivamente declassato a vice, che di recente non è riuscito nemmeno a superare l’esame dell’Ispra per acquisire il necessario attestato di direzione richiesto dalla legge. Due dei quattro ingegneri allontanati erano invece patentati da molti anni” (parole di un tecnico dell’impianto).
La SOGIN, in ritardo di più di un decennio, ha avuto il nulla osta da parte del ministero dello Sviluppo e del ministero dell’Ambiente per la pubblicazione della Carta Nazionale delle aree potenzialmente idonee per la realizzazione del Deposito Nazionale dei rifuti radioattivi.
Il problema è a monte perché se per assurdo ci trovassimo in una condizione di giustizia sociale diffusa, quella società, chi la amministra, chi la gestisce avrebbe dovuto vedersi interrotti qualsiasi tipo di rapporto lavorativo e di previsione di intervento sulla questione smantellamento impianti e gestione scorie radioattivi almeno una decina di anni fa.
Ma come precisato in partenza il ragionamento è per assurdo, perché siamo in Italia, e viviamo una società fondata sugli interessi di pochi a scapito dei diritti di molti. Noi qui a Taranto conosciamo molto da vicino la questione, la subiamo quotidianamente sulla nostra pelle.
Poi ci sono i processi decisionali, quelli che in una visione utopistica dovrebbero portare a scelte condivise e ragionate con la popolazione, ad un confronto sempre aperto dall’inizio alla fine (non solo nei prossimi 6 mesi e partendo da una base predefinita) di un attività impattante sulla vita delle singole persone, e che invece in questo caso, portano ad una definizione di 67 aree potenzialmente idonee sparse in sette regioni del nostro paese basandosi esclusivamente su 28 criteri tecnici (15 di esclusione e 13 di approfondimento) sicuramente fondati ma privi di quella caratterizzazione ambientale, a dir poco necessaria.
E non lo diciamo noi, lo dice l’ALLEGATO 3 al Titolo V della Parte Quarta, del “Codice dell’Ambiente” che al punto d) individua tra i criteri generali per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale quello di “evitare ogni rischio aggiuntivo a quello esistente di inquinamento dell’aria, delle acque sotterranee e superficiali, del suolo e sottosuolo, nonché ogni inconveniente derivante da rumori e odori”.
Noi diciamo in aggiunta che una maggiore attenzione e considerazione dei processi decisionali porterebbe sicuramente a verificare e proporre più scenari possibili per la soluzione di un unico grande problema, come quello delle scorie radioattive, permetterebbe di valutare i pro e i contro di determinate decisioni con i singoli cittadini, porterebbe in sintesi ad una scelta realmente condivisa. Il nostro compito non è entrare nel merito di lotte intestine ai vari governi, non è parteggiare per un partito o l’altro, lo sappiamo il loro unico interesse sono quelle maledette poltrone dalle sedute importanti. Il nostro unico interesse è la nostra terra. Il nostro unico obiettivo è difenderla da ulteriori soprusi, gli strumenti che abbiamo sono la nostra voce, le nostre azioni che anche in questo caso alzano un grido di protesta e di denuncia nei confronti di tutte le istituzioni. In questo caso, la nostra terra ha il nome di Taranto, Laterza, Altamura, Puglia, Lucania, e di tutte quelle aree che ancora una volta hanno visto calarsi dall’alto una decisione tecnica che potrebbe condizionare la vita di migliaia di persone nei prossimi decenni.
Il problema come sempre è a monte ed è ciò contro cui lottiamo ogni giorno, questo è il sistema al quale ci opponiamo.