Il Masterplan di Ambrosetti ci incorona tre volte Capitale

Dev’essere proprio vero che “chiusa una porta si apre un portone” perché non siamo diventati Capitale della cultura ma puntiamo già ad essere Capitale dell’idrogeno, Capitale del mare e infine Capitale intermodale del Mediterraneo.

A triplicarci le opportunità di un futuro glorioso è il Masterplan per Taranto della European House Ambrosetti, agenzia capitana nel panorama internazionale del terzo settore. Il cronoprogramma, triste traduzione di masterplan, si articola intorno ai “progetti bandiera”, tre per l’appunto, per condurre la città nelle posizioni apicali che le spettano. Prima fra tutte quella industriale, dove la produzione di idrogeno verde (quello ricavato dall’acqua per capirci) starebbe già subendo una riduzione degli elevatissimi costi di produzione, secondo il Ceo della Ambrosetti, tanto da considerare appurata la fattibilità nella nostra città. Inutile dire che sarebbe “sinergicamente” utile e sovrapponibile alla decarbonizzazione degli impianti ex Ilva.

L’importanza del porto con i suoi volumi di attività sarà valorizzata nel suo potenziale di attrattore ed aggregatore anche grazie alle Zes, zone economiche speciali, che consoliderebbero le relazioni commerciali fra l’area portuale e quelle dei traffici interni da e verso la Basilicata. Infine la dovuta attenzione allo spazio aeroportuale di Grottaglie che ha tutti i numeri per diventare un centro di ricerca spaziale e finalmente farebbe di noi la Houston italiana!

Servirà, naturalmente, prima rendere operativi i progetti già approvati con la legge di bilancio 2019, come il tecnopolo, il recupero degli impianti dell’Arsenale o il Centro Salute e Ambiente. Insomma servirebbe realizzare qualcosa fra i tanti cantieri annunciati e bisognerà avvalersi di forti collaborazioni. Per questo è già pronta la Total che proprio insieme alla European House di Ambrosetti si presta perfettamente con il condiviso “Think Tank Basilicata”. Tant’è, la giunta Melucci, parola di sindaco, ha già adottato il masterplan della Ambrosetti che proietta Taranto, sempre nel titolo, oltre le tre T – Tolleranza, Talenti e Tecnologia – verso la completa Transizione energetica e sostenibilità. Monsignor Santoro compra una vocale e rilancia con le tre E di Etica, Economia ed Ecologia, ricordando che a Taranto finora etica ed ecologia hanno avuto qualche difficolta ad essere considerate. Deo gratias! Se avevamo bisogno di ottimismo qui ce n’è d’avanzo ma noi siamo, ostinatamente?, convinti che serva professionalità, che alla Ambrosetti non manca, ma anche serietà e soprattutto cautela negli annunci che poi non trovano riscontro o celano trappole. Pensiamo sia giusto considerare i pro e i contro di progetti che al momento restano peraltro infattibili, se non si procede a far vivere i cantieri su menzionati, per dichiarazione della stessa Ambrosetti.

Partendo dall’ultimo punto, l’intermodalità dello spazioporto immaginato per Grottaglie è forse il progetto che più di tutti manca di qualsiasi fase, anche prodromica, come uno studio di fattibilità, sia pure a larghissima maglia. Siamo ad un purissimo stadio di ipotesi. E non ce ne voglia nessuno ma il pretenzioso richiamo alla base spaziale americana ci richiama l’ancora più famoso “Houston, abbiamo un problema!” Perché pensiamo che di problema ne avremo più d’uno, chiaramente nella nostra ottica di difesa del territorio, se ci affideremo, per esempio, alla collaborazione con Total. Considerato che il traffico navale nel nostro porto, in relazione al progetto Tempa Rossa, aumenterà fino a 140 petroliere annue, considerato che l’AD di Total, insediandosi negli splendidi uffici tarantini di Palazzo d’Ayala, dichiarava di pregustare la felicità di vedere le sue petroliere in rada, non siamo del tutto convinti di stare navigando dritti verso la Transizione energetica e la sostenibilità. Quantomeno nutriamo dei dubbi sulla possibilità che le multinazionali siano il nostro vento in poppa in questa traversata. Sulle Zes, che meritano un approfondimento a parte, possiamo solo ribadire che offrono una sponda comodissima ad altre e nuove forme di colonialismo dal quale dovremmo, e ci riferiamo in particolare a tutte le imprese locali, guardarci e difenderci. Dell’idrogeno verde sarebbe bello se fossimo la capitale ma ci permettiamo di sottolineare alcuni aspetti che portano a dubitare che i tarantini attualmente in età media possano vederne i fasti. La riduzione di costi di produzione cui fa riferimento il Ceo di Ambrosetti, studi alla mano e link in calce, non sono né ridotti nella misura annunciata, dovendo partire da zero per la costruzione degli impianti utili, né contenuti perché le quantità che servirebbe per alimentare la produzione d’acciaio per questo stabilimento non avrebbero nulla a che vedere con l’acciaieria svedese portata ad esempio, per quantità e tipologia d’acciaio. Ambrosetti dimentica comunque di precisare che la Joint Venture svedese, se la tecnologia Hybrit funzionerà, sarà a regime sul mercato non prima del 2026 e sarà completamente libera da fossili nel 2046.

Chi sarebbero gli investitori di un progetto così costoso per un impianto che cade a pezzi e nel quale, indipendentemente e nonostante 13 decreti, nessuno finora ha investito un centesimo per ammodernamenti? Chi si è preso la briga di confrontare la qualità di vita dei cittadini del sito svedese con la condizione sanitaria ed ambientale devastata da cui noi abbiamo urgenza di venir fuori? Se non bastasse, vale anche la pena tenere a mente che i progetti di Eni, rispetto all’idrogeno, vanno in altra direzione cromatica per l’area tarantina. Le dichiarazioni riferite all’idrogeno verde di pochissimi mesi fa, del Chairman di NextChem, per chi volesse aprire i link segnalati, non lasciano molti dubbi: “Quando si parla di applicazioni industriali le capacità sono molto importanti… le energie rinnovabili devono fare un salto verso la continuità perché nei processi chimici c’è bisogno di continuità”.

Da parte nostra, crediamo sia fondamentale ricordare su tutto che dovremmo partire da zero nella costruzione degli impianti delle rinnovabili, che a loro volta alimenterebbero l’impianto di elettrolisi per l’idrogeno, e che per la nostra Taranto, la NextChem ha invece in progetto con Eni la realizzazione di un impianto per produrre “gas circolare” tramite il “plasmix”, riciclo chimico di scarti plastici mentre la ricerca sull’idrogeno riguarda i siti di Venezia e Livorno. Per i più secchioni, un’occhiata al “Think Tank Basilicata” evidenzierebbe l’ottica in cui si sviluppa la collaborazione con il territorio e le comunità, partendo dalla negazione da parte di Eni e della classe politica locale, di correlazione fra gli impianti estrattivi e il grado di incidenza di tumori nella popolazione, per arrivare all’analisi dei punti di forza della regione che restano le risorse agroalimentari e paesaggistiche e che sono esattamente quelle messe a rischio dal Masterplan locale, con l’ovvia facciata dell’innovazione digitale, delle decine di start up innovative e operazioni di salvaguardia del territorio. D’altronde la Ambrosetti siede al tavolo delle consulenze per il G20 e l’obiettivo dei paesi industriali è la crescita del benessere che, dal loro punto di vista, sembra non cozzare affatto con quel modello che ci affanniamo ogni giorno a respingere perché causa rivelata di ogni devastazione in atto.

Cosa chiedere al nostro sindaco che esulta al nuovo sguardo con cui questo cronoprogramma ci consente di guardare alla grande industria e già lo adotta anche se ci sono stati solo alcuni confronti a porte chiuse ma mai confronti con la cittadinanza? Semmai volesse illuminarci sull’interazione verticale ma soprattutto su quella orizzontale con il territorio e sul sentimento di comunità, citati nel suo cinguettio al riguardo, noi siamo sempre pronti ad ascoltarlo e ad apprendere.